Tag: Mageia

IBM: nuovi investimenti sulle piattaforme Linux e Power Systems

Sono 54 le sedi IBM dedicate allo sviluppo di nuove applicazioni . Ma anche Watson fa progressi nella ricerca medica

Lo scorso anno IBM ha investito un miliardo di dollari sulle tecnologie Linux e open source per i suoi server Power Systems, inaugurando cinque Linux Center dedicati a Pechino (Cina), New York, Austin (Texas), Montpelier (Francia) e Tokyo (Giappone) e oggi sono più di 1500 le applicazioni ISV disponibili per Linux su Power. Poi a fine agosto in occasione della conferenza LinuxCon North America, IBM ha annunciato che si avvarrà della sua rete globale di oltre 50 Innovation Center e Client Center per aiutare i Business Partner, i professionisti dell’IT, il mondo accademico e gli imprenditori a sviluppare nuove applicazioni per i Big Data e il cloud computing sulle piattaforme Linux e Power Systems.
systems_power_software_linux_center_140x140Questo ulteriore investimento intende accelerare lo sviluppo di nuove applicazioni e fornisce accesso fisico e online alle risorse per lo sviluppo di applicazioni Linux su Power Systems a un bacino potenziale di migliaia di altri Business Partner IBM, sviluppatori e i clienti in tutto il mondo.
Le risorse possono comprendere:
•Workshop di formazione su Linux che indicano agli sviluppatori come migrare e ottimizzare le loro applicazioni utilizzando le tecnologie Red Hat Enterprise Linux, SUSE Linux Enterprise Server e Canonical Ubuntu Server Linux su Power Systems.
•Assistenza pratica da parte di specialisti di sistemi Linux e IBM dedicati, per mostrare agli sviluppatori come sfruttare le funzionalità uniche di elaborazione parallela e virtualizzazione avanzata di Power8.


L’architettura open source di Power e Linux rappresenta il cuore della OpenPower Foundation, una community per lo sviluppo “open” fondata nel 2013, con ormai 53 membri in tutto il mondo, che collaborano per sfruttare l’architettura aperta del processore Power e diffondere l’innovazione nel settore
Su un fronte più vicino alle tecnologie di punta e di ricerca , IBM dichiara di aver fatto significativi progressi nelle capacità di cognitive computing di Watson, superando la fase di analisi dei dati e di ricerca di risposte note per passare all’esplorazione della complessità e delle connessioni di enormi quantità di dati. Tre anni dopo la vittoria al quiz televisivo Jeopardy!, IBM Watson si è evoluto fino a rappresentare una nuova era dell’informatica, guadagnando il riconoscimento di Gartner , che cita IBM Watson tra i primi 10 trend tecnologici strategici per il 2014, prevedendo che, entro il 2017, il 10 per cento dei computer sarà in grado di apprendere come fa Watson
Disponibile da subito e fornito come servizio cloud, Watson Discovery Advisor è progettato per accelerare le scoperte da parte delle équipe di ricerca, perché riduce il tempo necessario a testare le ipotesi e formulare conclusioni, da mesi a giorni e da giorni a poche ore, portando nuovi livelli di velocità e precisione alla ricerca e sviluppo.
Grazie alla capacità di Watson di cogliere le sfumature del linguaggio naturale, Watson Discovery Advisor è in grado di comprendere il linguaggio della scienza, ad esempio come interagiscono i composti chimici, rappresentando così uno strumento straordinariamente potente per i ricercatori delle bioscienze e di altri settori.
In campo farmaceutico e medico con Watson Discovery Advisor, i ricercatori possono scoprire nuove relazioni e individuare modelli inattesi tra i dati, con la possibilità di aumentare e accelerare significativamente i processi di scoperta.
“Stiamo entrando in un’era straordinaria in cui la scoperta sarà guidata dai dati”, spiega Mike Rhodin, senior vice President, IBM Watson Group. “L’annuncio di oggi rappresenta una naturale estensione dell’intelligenza di cognitive computing di Watson e dà a ricercatori, sviluppatori ed esperti del settore uno strumento potente che aiuterà ad aumentare i risultati degli investimenti effettuati dalle organizzazioni nella R&S, portando a scoperte rivoluzionarie significative”.

via http://www.techweekeurope.it/


Dell si rafforza nell’open networking basato su Linux

Dell e VMware hanno ampliato la propria partnership per fornire soluzioni capaci di accelerare la virtualizzazione della rete e l’open networking nel software-defined data center.

La collaborazione comprende una serie di nuove soluzioni per aziende mid-market, largeenterprise e service provider, ed è supportata da un go-to-market congiunto, un’architettura di riferimento certificata e un accordo di distribuzione globale.

Switch Dell PowerEdge M1000e

Allo stesso tempo, Dell e VMware collaborano con Cumulus Networks per offrire la piattaforma di virtualizzazione di rete VMware NSX con Cumulus Linux su switch di rete Dell. Inoltre Dell mette a disposizione una soluzione di infrastruttura convergentetestata e certificata per il mid-market che integra VMware NSX.

In pratica, le tre società si sono proposte di  mettere a disposizione delle aziende una soluzione pre-configurata, disponibile tramite Dell e i suoi partner, che combina VMware NSX con Cumulus Linux sugli switch Dell Networking. Questa soluzione, è lìobiettivo di Dell, si prefigge di aiutare le aziende e i service provider nel disporre di una gestione e di provisioning per tutto l’ambiente di rete del data center, fisico e virtuale, e ad accelerare l’implementazione di nuove applicazioni.

Le aziende prevedono che i clienti godranno di benefici quali:

  • migrazione da soluzioni di rete chiuse e proprietarie a un networking flessibile, aperto, semplice e agile;
  • tempi rapidi di provisioning di reti e servizi per accelerare l’implementazione delle applicazioni;
  • sfruttamento di virtualizzazione, isolamento e segmentazione della rete per implementare il multi-tenancy di client e applicazioni;
  • connessione dei workload fisici con reti virtuali;
  • miglioramento delle prestazioni e della qualità del servizio individuando e isolando automaticamente i flussi specifici per applicazione;
  • micro-segmentazione per integrare la sicurezza nei data center.

L’infrastruttura convergente di Dell include lo chassis server blade Dell PowerEdge M1000e, lo switch blade Dell Networking 10/40GbE MXL, lo switch S4810 Top of Rack e gli switch fabric S6000, oltre agli array Dell Storage iSCSI. Per semplificare l’implementazione, Dell e VMware forniscono anche una  architettura di riferimentocertificata.

via http://www.tomshw.it/


Installiamo Prestashop su Hosting Linux con 1&1 Internet

Se hai deciso di vendere online quei prodotti o servizi che finora hai potuto sponsorizzare solo localmente ma non sai da dove iniziare, se vuoi contenere le spese di consulenza che peserebbero troppo sui tuoi budget attuali ma non sai cosa scegliere, la combinazione di un CMS come Prestashop e di un hosting Linux appropriato come quello di 1&1 Internet potrebbe rappresentare un ottimo punto di partenza.

Scegliere Prestashop per il tuo primo e-commerce è una scelta sensata, in quanto il CMS è fra i migliori per il commercio elettronico ed è open source, caratteristica che ha permesso la crescita di una folta community a sostegno degli utenti nell’affrontare i piccoli problemi d’uso quotidiani; è sicuro, è leggero e molto intuitivo, a tal punto da non richiedere grandi conoscenze informatiche ed è pronto all’uso in quanto hai a disposizione oltre 310 funzioni a portata di clic.  Una volta installato, dovrai semplicemente occuparti del tuo negozio e dei tuoi prodotti, che potrai sponsorizzare in oltre 56 lingue.

Forse lo scoglio più grande che devi affrontare è la scelta dell’hosting Linux a cui affidarti e la successiva installazione di Prestashop.

In realtà, anche questa difficoltà è un semplice retaggio del passato, in quanto è sufficiente affidarti al giusto provider per trovare l’hosting migliore per partire con il tuo progetto e-commerce, il prezzo adatto alle tue tasche per sostenere le spese di avvio e la facilità di installazione di Prestashop, che può essere conclusa in pochi clic.

Non ci credi? Guarda cosa abbiamo scoperto noi sbirciando fra le offerte di hosting Linux 1&1.

Fra i tanti provider che in Italia offrono soluzioni per portare online la tua attività di vendita, 1&1 ha pensato di rendere accessibile l’ingresso di chiunque voglia approdare alla compravendita Web con investimenti di startup accessibili e senza necessità di consulenze informatiche specifiche.

Il pacchetto hosting Linux offerto da 1&1 ha un costo promozionale di solo 1€ (IVA esclusa) che ti dà diritto a un anno di hosting completo per un sito Web di qualsiasi natura, anche quella di e-commerce.

Su questo servizio hosting puoi installare Prestashop e godere di un dominio incluso per permettere ai tuoi utenti di raggiungere il tuo catalogo prodotti, 100 GB di spazio Web dove memorizzare tutte le immagini e i video della merce che porrai in vendita, 20 DB MySQL a cui sarà dedicato 1 GB di RAM e 100 account email attivabili da 2 GB di spazio ciascuno per offrire ai tuoi clienti un indirizzo email per ogni esigenza.

Per chi ha maggiori conoscenze tecniche è utile sapere che a fronte di un requisito minimo di funzionamento di Prestashop di 64 MB (128 MB sono comunque quelli consigliati), 1&1 ne offre 10 volte tanto per garantire che il tuo e-commerce funzioni alla perfezione (0.6 GB), hai un volume di traffico illimitato, 100 sottodomini e due sistemi di protezione basati su antivirus e anti-spam/anti-phishingpronti a proteggere la tua attività da qualsiasi insidia della Rete.

Con solo 1€ per il primo anno, quindi, trovi un hosting perfetto per Prestashop, con prestazioni sufficienti ad accogliere il tuo primo catalogo e-commerce e pronto a supportare il traffico in crescita del tuo business.

Inoltre abbiamo notato che, se il nostro catalogo Prestashop dovesse diventare più importante in termini di ricchezza di prodotti pubblicizzati, o se il traffico e le transazioni dovessero diventare più cospicue, puoi passare a un piano hosting superiore senza perdere il lavoro effettuato fino a quel momento e semplicemente con un solo clic del mouse, richiedendo un upgrade che estenderà le caratteristiche del tuo hosting senza intaccare l’e-commerce già pubblicato.

Superato il primissimo passo di scelta dell’hosting, ancora c’è una difficoltà che devi valicare, quella relativa all’installazione dell’e-commerce Prestashop. Se la questione hosting sembrava complicata e sei riuscito a risolverla in pochi minuti, quella dell’installazione Prestashop la puoi risolvere in pochissimi clic.

1&1, infatti, ha pensato a un supporto specifico anche per chi si addentra oltre l’attivazione dell’hosting Linux e vuole installare un’applicazione come il CMS Prestashop in tutta tranquillità, quasi come se installasse una qualsiasi applicazione sul proprio computer Windows. Per questo, 1&1 integra nei suoi servizi hosting la piattaforma 1&1 Applicazioni Click & Build, che ti consente di installare in pochi clic qualsiasi applicazione pensata per lo sviluppo Web, come il tanto citato e-commerce Prestashop. Attraverso un Centro App, puoi scegliere quale CMS installare e procedere all’avvio dell’applicazione scelta attraverso pochi clic di mouse.

Proviamo insieme!

Una volta attivato il pacchetto hosting di cui ti abbiamo parlato, ricevi un’email con i dati di accesso alla tua Area Clienti 1&1. Collegati quindi al sito di 1&1, clicca su Accesso clienti in alto a destra e inserisci i tuoi dati di autenticazione. Ti troverai in una schermata generale da cui puoi compiere diverse operazioni.
Installiamo Prestashop su Hosting Linux con 1&1
Clicca sulla voce Hosting presente in alto alla pagina e nella nuova schermata clicca sul pulsante Vai al 1&1 Centro App.
Installiamo Prestashop su Hosting Linux con 1&1
Con un po’ di scrolling raggiungi i Download Principali e la sezione Più Popolari. Il terzo riquadro di entrambe le sezioni è Prestashop. Clicca sopra uno dei due riquadri e fai un clic del mouse sulla dicituraInstalla.
Installiamo Prestashop su Hosting Linux con 1&1
fonte: http://www.hostingtalk.it/


Linux in Comune: quello che non sappiamo

Ieri a seguito della pubblicazione dell’articolo Il Comune di Torino passa a Linux: addio Windows XP si è scatenato il putiferio. Più di 200 commenti online hanno confermato almeno due dettagli chiave. Il primo è che l’adozione di Linux negli enti pubblici è potenzialmente ben vista. Il secondo è che un’eventuale transizione di questo tipo è molto più complessa di quanto si possa supporre.

Un nostro lettore, Vittorio R. (nostra la scelta di omettere la sua identità, NdR.), Amministratore di Sistema di un Comune piemontese, ci ha scritto per fare chiarezza sull’argomento.

L’ammnistratore di sistema

Ecco la sua accorata lettera:

L’impulso di scriverle è nato dopo aver letto i commenti, supponenti e arroganti, di molti lettori riguardanti la pubblica amministrazione, il livello di competenza dei dipendenti pubblici e del livello di informatizzazione della macchina pubblica.

Quando ho letto l’articolo di Repubblica ho subito pensato “ancora con la storia del ‘cervellone’ – solito articolo scritto coi piedi”. Poi ho iniziato a pensare a cosa sta combinando il CSI Piemonte. Il Comune piemontese, per cui sono l’Amministratore di Sistema, è consorziato col CSI. Il CSI Piemonte è un consorzio creato nel 1977 dalla Regione Piemonte per le attività di informatizzazione e gestisce già, praticamente, i servizi informativi di Regione Piemonte e del Comune di Torino. Fornisce già, a tutti gli Enti del Territorio, molti servizi erogati via web dai due datacenter che hanno a Torino e Vercelli. Hanno anche una suite di applicativi cloud e iniziano a proporsi direttamente agli enti locali come erogatori di soluzioni cloud.

Dopo aver letto l’articolo ho subito pensato che ormai, avendo già in gestione molti servizi erogati via web (o terminal server) dai datacenter al Comune e Regione, passare i terminali degli uffici a Linux e LibreOffice era l’evoluzione naturale. Niente di stupefacente insomma.

Ma tutto questo ai molti lettori di Tom’s non è noto, ne è noto quanto complessa sia la gestione informatica di un Ente Pubblico che, per sua natura, ha compiti e strutture differenti da quelle di un’azienda che è orientata solo al business. L’unica idea comune è la totale “incompetenza” e “incapacità” del dipendente pubblico. Quanta gente è a conoscenza dell’esistenza di una legge quadro apposita, il cosiddetto CAD, sulle modalità di informatizzazione delle pubbliche amministrazioni, locali e centrali?

Senza poi contare i soliti ragionamenti da “cantinaro”: che fare se non funziona il pc, la scheda di rete.Non viene in mente a nessuno che esistono i servizi di assistenza in chiamata, a supporto di sistemi informativi interni? E che all’interno degli enti pubblici esistono figure e competenze apposite per gestire i sistemi informatici, sempre più complessi e con sempre meno mezzi e risorse a disposizione?

Mi scusi per lo sfogo. Le dico questo perché potrebbe essere un interessante spunto per una serie di articoli di approfondimento, l’esame della situazione dell’informatica della Pubblica Amministrazione e delle leggi connesse come il CAD, troppo spesso ignorate dalla gente. Il grosso problema dell’informatica nella PA è che queste leggi sono ignorate dal legislatore stesso che risulta essere incompetente su questioni tecniche e di buon senso (vedasi questione Franceschini e SIAE).

Vita dura

Un piccolo “esempio” delle contraddizioni della normativa è dato dalla fornitura del wifi pubblico che, nonostante le ultime leggi come il famigerato “decreto del fare”, a causa dell’art. 6, comma 1 del Codice delle Comunicazioni Elettroniche (D.Lgs 259 del 1-8-2003) che recita “Lo Stato, le Regioni e gli Enti locali, o loro associazioni, non possono fornire reti o servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico, se non attraverso società controllate o collegate“, nessun ente pubblico può acquisire il servizio di accesso a internet per la cittadinanza da società come Telecom Italia, Fastweb, Tiscali o altri privati ma deve passare per forza da “municipalizzate” e “Consorzi”.

Telecom, Fastweb e compagnia non sono società controllate o partecipate e, nel caso del Piemonte, l’unico soggetto possibile è appunto il CSI Piemonte in quanto consorzio pubblico costituito dagli enti consorzianti.

In Piemonte quindi, se non ci si consorzia al CSI o non si possiedono quote di altra società municipalizzata, non è possibile fornire il servizio di accesso a internet alla cittadinanza e non è possibile neanche realizzarlo in economia, ovvero farselo a mano in autonomia. Questa è stata la risposa alla richiesta erogata dal mio Ente dal MEF alla richiesta di chiarimenti sulla possibilità e modalità di log e tenuta navigazione in caso di accesso senza autenticazione.

Il Ministero ha anche aggiunto che poi la responsabilità dell’accesso senza autenticazione ricade sulla società fornitrice che sarà lei a decidere come regolarsi per l’autenticazione.

La scelta dell’impiego di software libero, specialmente per le infrastrutture informatiche, più che un’opportunità è ormai una necessità: si hanno sempre meno risorse per fare il proprio lavoro e se non si usa software libero non si va più da nessuna parte. Il software libero nella PA è molto diffuso più di quanto comunemente noto: nel mio piccolo dove posso uso Linux per server e anche l’infrastruttura di virtualizzazione è tutta realizzata con software libero. Sto attualmente studiando come sostituire il dominio AD con samba 4 e così non dover più rinnovare ulteriori licenze. L’impiego di software libero, che non significa automaticamente “gratuito”, permette comunque di realizzare sistemi e soluzioni, anche complesse, senza ulteriori oneri per l’Ente in autonomia.

È però disarmate sentirsi dire dal proprio ex Assessore che, tra il miglioramento dell’informatizzazione di un settore dell’ente e asfaltare una strada, preferisce la seconda opzione perché ha più visibilità elettorale

Il cloud poi … la spesa, essendo un canone annuo, finisce nelle spese correnti e non di investimento, soggette a tagli e vincoli sempre più stretti. Senza contare che il costo del cloud è proibitivo ormai. Con il costo di un anno di cloud completo su uno dei maggiori fornitori italiani con i prezzi dei server in convenzione Consip mi rifaccio l’intero parco server per reggere il carico delle VM del mio ente e mi avanzano fondi per rinnovare l’assistenza per altri 5 anni !!! Ma queste “quisquiglie”, oltre a una infrastruttura di rete pubblica pessima, sono nulla rispetto alla pretesa di AGID di passare TUTTI i datacenter della pubblica amministrazione al cloud, in centri regionali appositi, entro 3 anni (2,5 ormai, visti i tempi) e ovviamente senza “oneri per lo stato”. In Piemonte vuol dire dare tutti i datacenter dei comuni al CSI senza valutazioni di mercato, visto che AGID (Agenda Digitale per l’Italia) ha passato la palla alle regioni per la stesura dei piani regionali di razionalizzazione, che avrebbero dovuto essere fatti entro il 30 giugno 2014.

Da quanto conosco, finora nessuna regione ha emesso un piano di razionalizzazione dei CED.

Chiudo segnalandole una realtà interessante che si sta plasmando in questo periodo: i vari sistemisti e tecnici informatici della PA, figure professionali poco note, trascurate e inascoltate all’interno delle PA (finché non avviene un disastro …), stanno facendo fronte comune e si tengono in contatto per affrontare le sfide sempre più ardue dell’informatizzazione degli enti pubblici. Per ora abbiamo un sito di riferimento che è www.opensipa.it.

fonte:http://www.tomshw.it/


Monaco: Linux costa più di Windows, addio open source

Dopo dieci anni di Linux Monaco di Baviera getta la spugna e torna a Windows. Era stata tra le prime città a decidere di affidarsi a Linux, affrontando le molte difficoltà iniziali pur di liberarsi dai vincoli con Microsoft e altri fornitori. E proprio l’anno scorso si era completato il passaggio: tutti gli uffici pubblici usavano LiMux, una distribuzione sviluppata apposta.

Si torna a Windows perché a quanto pare non si è riusciti a compensare l’iniziale abbassamento della produttività. All’inizio si pensava che sarebbe bastato un po’ di tempo, che le persone si sarebbero abituate ai nuovi strumenti e che presto tutto avrebbe ripreso a funzionare come sempre.

Monaco di Baviera

L’adattamento c’è stato in effetti ma sono rimasti problemi insormontabili nell’interazione con altre realtà (fornitori, altri comuni, governo, etc.): in questi casi lo scambio di documenti non ha mai smesso di essere un problema.

C’è stato anche un problema economico, ed è emerso che Linux è risultato più costoso di Windows da gestire “perché la città ha dovuto assumere programmatori per sviluppare funzioni di cui avevano bisogno, e poi ha dovuto pagare il personale per mantenere il software”. Pagando le licenze a Microsoft si sarebbe speso meno, a quanto pare.

Collaborazione con altri e riduzione della spesa, ecco perché Monaco di Baviera sta tornando a Windows. La scelta di questa città, dieci anni fa, fu definita l’equivalente IT della caduta del Muro di Berlino. Non è ancora detta l’ultima parola comunque, perché, con la nuova versione di LiMux e una più forte spinta verso il formato ODF, forse c’è ancora spazio per l’open source nella città tedesca.

In ogni caso è importante ricordare che la questione economica non è mai stata determinante. All’epoca, tra il 2003 e il 2004, i politici locali scelsero di seguire una strada che avrebbe dato a loro il controllo sulla tecnologia usata, invece che a fornitori esterni come Microsoft. Decisero in altre parole di mantenere nelle proprie mani una parte di potere che era sempre stata “esternalizzata”. Fu in altre parole una questione più politica che economica.

fonte:http://www.tomshw.it/


Il Comune di Napoli abbandona Linux e torna a Microsoft

Open source addio: il Comune di Napoli dopo essersi impegnato ad adottare Linux Ubuntu sui computer dei suoi dipendenti torna a Microsoft. Dietro la decisione, una lunga storia di sequestri, licenze fasulle e battaglie in Consiglio comunale.

Il Comune di Napoli dice addio al sistema operativo open source Linux sulla sua rete informativa e torna, di fatto, a Microsoft. E mentre a Torino l’Amministrazione guidata da Piero Fassino annuncia di voler diventare «la prima grande città italiana “open source”» per risparmiare soldi nella gestione dei sistemi, l’Amministrazione partenopea oggi guidata ad Luigi de Magistris, dimenticando di essere stata pioniera nel campo, abbraccia nuovamente i sistemi a codice proprietario. Prima di proseguire occorre fare un primo passo indietro: correva l’anno 2009, a Palazzo San Giacomo l’allora sindaco Rosa Russo Iervolino – che di reti telematiche non capiva pressoché niente – condivideva in Consiglio comunale una proposta presentata dall’allora assessore alle Reti, Giulio Riccio, con primo firmatario quel Francesco Nicodemo allora consigliere comunale Pd e oggi responsabile della comunicazione nazionale Pd e fedelissimo del premier Matteo Renzi. In partica il Comune partenopeo “sposava” la filosofia open source introducendo nei propri uffici su circa 2.000 personal computer il sistema operativo Linux, distribuzione Ubuntu, con pacchetto di lavoro individuale Open Office, entrambi gratuiti. «Significa aver la possibilità di utilizzare liberamente software di qualità che consente all’amministrazione comunale di avere un enorme risparmio e di avere i terminali sempre aggiornati e sicuri» chiosava la giunta di allora in una nota stampa.

 

Perché il Comune di Napoli abbandona Linux Ubuntu e l’open source?

 

Dopo questo primo passo indietro occorre farne un altro. Palazzo San Giacomo con quel provvedimento in favore del software open source intendeva anche lasciarsi alle spalle una brutta storia, datata 2001-2002, tredici anni or sono. Si trattava dell’acquisto di diverse centinaia di computer marca Ibm da una ditta appaltatrice di Napoli, ubicata poco distante la sede municipale. I computer montavano il sistema operativo Windows di Microsoft e la suite di Office MS (Word, Excel eccetera). Ebbene, anni dopo, l’Amministrazione venne a scoprire suo malgrado, dopo la pubblica coraggiosa denuncia di un consigliere comunale, Raffaele Ambrosino, che i software installati su una buona parte dei computer non avevano le licenze. Uno scandalo nazionale: intervenne la Guardia di Finanza, la Procura aprì una indagine e i computer finirono con l’essere posti sotto sequestro dell’autorità giudiziaria (molti sono ancora incredibilmente negli uffici comunali, spenti, a marcire). Nel 2009, l’Amministrazione Iervolino decise di avviare una transazione con Microsoft. Non sanando i vecchi abusi (il Comune fra l’altro nella vicenda delle false licenze era parte lesa) ma acquistando nuove licenze d’uso per il futuro. Un affare da oltre 800mila euro (700mila più Iva).

 

Nel Consiglio comunale del 30 aprile 2010 Nicodemo si esprimeva così in un intervento in Aula:
…questa operazione (riferendosi all’open source ndr.) ci ha permesso un risparmio ovvero un’economia di spesa negli anni, nel anno diciamo nel biennio 2008/2010 di 3 milioni e mezzo di euro perché noi avevamo un vecchio appalto di circa 4 milioni e mezzo di euro, con il nuovo acquisto compreso diciamo come sistema operativo noi abbiamo pagato un milione di euro e dunque questa Amministrazione facendo questa scelta ha risparmiato 3 milioni e mezzo di euro. […] Questa scelta che noi abbiamo fatto nel 2009 è coincisa anche con, diciamo, un contenzioso che si è aperto con la casa produttrice dei più grossi software, direi la casa monopolista come è noto che è la Microsoft con il Comune di Napoli. Allora io non credo che sia compito del Consiglio Comunale entrare nelle questioni diciamo dell’opportunità o meno di fare una transazione soprattutto quando ci sta allegando come un emendamento che è il numero tre, allegata una lettera dell’Avvocatura in cui dice che per il Comune di Napoli può essere utile andare a fare una transazione con Microsoft, per cui diciamo nulla quaestio sulla necessità di fare una transazione con Microsoft. Quello che questo emendamento diciamo porta all’attenzione è che poiché questa transazione riguarda l’acquisto di settecento mila euro di licenze, non di licenze vecchie volte a sanare diciamo eventuali mancanze di licenze proprietarie, piuttosto acquistare nuove licenze, è evidente che l’Amministrazione Comunale nel caso che questo emendamento voglio dire non venga accolto, sia ritirato, non sia condiviso dall’Amministrazione, si deve impegnare perché questo accordo con Microsoft rappresenta la chiusura di una vicenda che va molto lontano Sindaco e per alcuni versi è ancora aperta e vede il Comune di Napoli anche danneggiato e in causa con altri soggetti. Quello che questo emendamento diciamo porta all’attenzione è che poiché questa transazione riguarda l’acquisto di settecento mila euro di licenze, non di licenze vecchie volte a sanare diciamo eventuali mancanze di licenze proprietarie, piuttosto acquistare nuove licenze, è evidente che l’Amministrazione Comunale nel caso che questo emendamento voglio dire non venga accolto, sia ritirato, non sia condiviso dall’Amministrazione, si deve impegnare perché questo accordo con Microsoft rappresenta la chiusura di una vicenda che va molto lontano Sindaco e per alcuni versi è ancora aperta e vede il Comune di Napoli anche danneggiato e in causa con altri soggetti.

 

È un consigliere comunale di centrodestra, Andrea Santoro, a riassumere la vicenda nel 2010: «Il Comune ha subito una truffa, pagando per computer dotati di licenza che invece non l’avevano, ma qualcuno a Palazzo San Giacomo ha ritenuto giusto fosse il Comune e non l’azienda fornitrice a risarcire Microsoft. Come poi: attraverso l’acquisto di 700 mila euro più IVA di licenze. Materiale inutile per il Comune, essendo transitato nel frattempo sui nuovi computer che girano con Ubuntu e con i software sviluppati per Linux».

 

Il Comune di Napoli e la transazione con Microsoft

 

E invece, il rapporto con Microsoft è andato avanti, con buona pace della filosofia open source e di tutte le ipotesi di risparmio sul medio e lungo periodo. Già, perché con Luigi de Magistris il Comune ha confermato la via già intrapresa dai suoi predecessori in barba ad una delibera di Consiglio comunale: addio Linux-Ubuntu – peraltro osteggiato da una buona parte dei dipendenti comunali piuttosto “allergici” alle novità – e si ritorna al vecchio sistema operativo Microsoft. E così, mentre alla Regione Campania i tecnici devono far fronte con computer vulnerabili poiché montanti il vecchio sistema operativo XP ormai non più supportato dalla casa madre di Seattle, al Comune di Napoli il sistema operativo è nuovo di zecca. Ma è costato caro e amaro.

fonte: http://www.fanpage.it/


VolksPC, il mini PC Android capace di utilizzare anche applicazioni Linux (video)

Una campagna di crowdfunding su Indiegogo propone un nuovo mini-PC Android, il VolksPC. Mai come in questo caso è assolutamente appropriato il termine “PC”: il sistema operativo, infatti, è una distribuzione ad hoc, la Unified Distribution, capace di far funzionare applicazioni per Jelly Bean (4.2.2) e per Debian Wheezy. In sostanza si potranno utilizzare software sia per il sistema operativo di Google, sia per Linux.

L’aspetto (che potrebbe non essere definitivo) è analogo ad altre soluzioni simili, mentre l’hardware prevede una CPU dual-core RK3066, operante a 1,4 GHz. Il quantitativo di RAM installato è pari a 1GB di DDR3, mentre per la memoria integrata abbiamo 8GB di flash per Android e una microSD da 8GB per Debian Wheezy.

Debian è facilmente aggiornabile, utilizzando direttamente i file residenti su microSD, mentre per Android si può ricorrere alla porta UBS OTG, in modo da poter eseguire RKBatchTools su un computer Windows.

A seguire il riepilogo delle specifiche tecniche:

  • Dual core Rockchip RK3066 Cortex-A9 CPU a 1.4Ghz.
  • 1 GB DDR3
  • 8 GB NAND Flash (Android)
  • 8 GB MicroSD (Debian Wheezy)
  • 10/100 Ethernet
  • USB 2.0 x 2
  • 1 USB OTG
  • 1 uscitaAV
  • HDMI 1.3 (apparentemente limitata a 720p)
  • IEEE 802.11 b/g/n
  • Lettore memorie SD /MMC/MS

La campagna su Indiegogo mira a raccogliere 80.000 dollari (per ora sono stati raccolti solo 506 dollari, ma l’iniziativa è appena partita). Per acquistare un VolksPC è necessario investire119 dollari.


Linux anche per l’infotainment nelle automobili

GNU\Linux è pronto ad abbracciare la rivoluzione dei sistemi operativi sulle automobili. Questo dovrebbe permetter un contenimento dei costi e un elevato livello di personalizzazione. Infatti, attualmente, la maggior parte delle soluzioni software disponibili sul mercato risultano essere proprietarie, con elevati costi di licenza e senza la possibilità di avere accesso al codice sorgente per effettuare delle modifiche in base alle proprie esigenze.

Le industrie automobilistiche sarebbero dunque alla ricerca di una soluzione open source per i propri sistemi embedded. Ovviamente, Linux ha incominciato ad attirare l’attenzione dei produttori da qualche anno a questa parte. In particolare, già nel 2014 la Kia Soul e la Lexus IS hanno utilizzato una soluzione Linux-based.

L’attenzione dei vari produttori potrebbe quindi spostarsi da costose soluzioni proprietarie ad alternative open source Linux-based che possano contendere il terreno di conquista anche alle soluzioni già ideate da Google e Apple.

https://www.youtube.com/watch?v=ngfuuNnwN_E


Skype 4.3 per Linux, migliora il supporto audio

La nuova versione del client VoIP per Linux aggiunge il supporto per PulseAudio 3.0 e 4.0, mentre è stato eliminato il supporto per Alsa.

skype_1

Dopo aver dedicato molto tempo ai sistemi operativi più diffusi, in particolare alle versioni mobile del client VoIP, Microsoft ha finalmente annunciato la disponibilità di un aggiornamento per LinuxSkype 4.3 non introduce novità eclatanti, ma tante piccole funzionalità che migliorano l’esperienza d’uso, sopratutto per quanto riguarda la qualità dell’audio. È stato infatti abbandonato il supporto per Alsa, sostituito completamente da PulseAudio. Alsa (Advanced Linux Sound Architecture) è stato uno dei primi framework software ad essere integrato nel kernel Linux per offrire API da utilizzare per i driver delle schede audio. PulseAudioè invece un sound server, un processo eseguito in background che accetta in ingresso input da una o più sorgenti e li redireziona ad uno o più uscite, principalmente schede audio. In Skype 4.3 per Linux è presente ora il supporto per PulseAudio 3.0 e 4.0, tuttavia l’azienda di Redmond suggerisce agli utenti di installate l’ultima versione per ottenere una migliore qualità audio durante le chiamate. Un’altra novità è rappresentata dalle chat di gruppo basate sul cloud. È possibile inviare messaggi anche quando il destinatario è offline, i messaggi verranno sincronizzati tra tutti i dispositivi e l’utente può anche vedere la cronologia. Con la nuova versione dell’app è stato migliorato il trasferimento dei file, quando si usano più dispositivi, e le funzioni di accessibilità per non vedenti e ipovedenti. Il changelog menziona anche modifiche all’interfaccia utente, senza però fornire dettagli in merito. Skype per Linux è compatibile con le distribuzioni Ubuntu 10.04 (32 bit), Ubuntu 12.04 (32 e 64 bit), Debian 7.0 (32 e 64 bit), Fedora 16 (32 bit) e OpenSUSE 12.01 (32 bit). Per le distribuzioni non elencate è disponibile la versione Dynamic che richiede la verifica delle dipendenze e/o l’installazione di altri pacchetti.

Fonte:http://www.webnews.it/


Mageia 4 Beta 2 – arriva Mesa 10 e il Kernel 3.12.3

E’
da
poco
disponibile
la
seconda
Beta
della
nuova
Mageia
4,
versione
in
fase
di
sviluppo
che include diversi aggiornamenti rendendo la
distribuzione stabile e funzionale.
Mageia
Linux
è
una
distribuzione
Linux
sviluppata
da
alcuni
ex
developer Mandriva che hanno deciso di
puntare in un progetto tutto nuovo senza fini di
lucro nel quale è la community a decidere lo
sviluppo e mantenimento del progetto.
Gli sviluppatori Mageia hanno rilasciato la
seconda beta dedicata alla futura versione 4
release che renderà più matura e completa la
distribuzione grazie a svariati aggiornamenti e
l’introduzione di diverse ottimizzazioni e
migliorie varie.
Mageia 4 Beta 2 porta con se il nuovo Mageia
Welcome utile finestra che sia avvia per la
prima volta post installazione che include i
collegamenti per accedere ai principali portali
come forum, segnalazione bug, home ecc di
Mageia oltre ad inserire utili informazioni sul
nuovo sistema operativo.
Nel nuovo Mageia 4 Beta 2 troviamo diversi
pacchetti aggiornati all’ultima versione stabile
disponibile, tra questi troviamo anche il Kernel
Linux aggiornato all’ultima versione 3.12.3 che
include diverse migliorie per nuove periferiche e
soprattutto delle ottimizzazioni per schede
grafiche Intel, AMD e Nvidia.
Aggiornamento anche l’ambiente desktop KDE
alla versione 4.11.3 , e soprattutto Mesa alla
versione 10.0 che include il supporto per
OpenGL 3.2 e 3.3 e molte altre importanti
ottimizzazioni.
Mageia 4 Beta 2 aggiorna anche il server
grafico X.org alla nuova versione 1.14.4 e
systemd alla versione 208, per maggiori
informazioni basta consultare le note di rilascio
da questa pagina.
Home Mageia


Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi