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Linus Torvalds: Linux, i brevetti e me……

Roma – A casa Torvalds tutto finisce per orbitare attorno a Linux: PC, Mac, smartphone, tutto prima o poi viene convertito al sistema operativo FOSS per antonomasia. Ma Linus non è un talebano, è solo il caso a determinare che in certe situazioni il suo hardware migri verso il software che lui stesso ha creato molti anni fa. La dotazione di famiglia comprende pure un paio di Chromebook, e non manca una stampante 3D: quest’ultima la usa soprattutto la figlia, prestandola pure ai compagni di classe, per svolgere un po’ di compiti a casa.

L’intervista di Business Insider al creatore di Linux tocca molti temi interessanti e d’attualità: brevetti software, collaborazione a distanza e tra grandi gruppi di persone, la messa a disposizione di sorgenti e la loro cessione con licenza free del kernel che oggi equipaggia ogni sorta di apparecchio, supercomputer, accessorio e device tecnologico in circolazione. Ed è proprio la natura free open source di Linux a costituire un importante tassello del pensiero di Torvalds: “Cercare di costruire un business attorno a Linux sarebbe stato un disastro. Sarebbe stato impossibile ottenere lo stesso tipo di community che si è generata, indispensabile a rendere Linux quello che è oggi”.

La questione si allarga anche al carattere e alle inclinazioni di Torvalds: un tentativo di monetizzare Linux messo in piedi da lui stesso sarebbe stato probabilmente un fallimento, visto che la sua vocazione è sempre stata e resta sul versante tecnico. Altri sono portati per marketing e vendite, non Linus: che per i passati 20 anni ha cercato ardentemente di tenersi fuori da ogni implicazione commerciale e azienda che utilizzasse Linux come asset, così da poter mantenere una certa neutralità tra i diversi vendor e continuare a gestire la crescita del kernel senza pressioni. In ogni caso, confessa Torvalds, economicamente oggi se la passa piuttosto bene.La community, come detto, è stata la chiave del successo di Linux: Torvalds ha permesso a tutti di contribuire al progetto a modo proprio, e questo ha consentito di conseguire grandi obiettivi. La complessità raggiunta oggi dalle molte ramificazioni del kernel non è un limite, così come non lo è per altri grandi esempi di community che collaborano in un ambiente aperto e distribuito. La biologia, l’ecologia, secondo Linus sono un perfetto esempio di come tutto questo possa funzionare: l’evoluzione e la simbiosi tra parti degli individui e le diverse specie stanno lì a dimostrare come tutto questo sia già realtà, anche se naturalmente esiste una differenza tra la natura e l’ingegneria del software. Wikipedia, Arduino, Linux stesso stanno lì a dimostrare come senza particolari limiti imposti alla buona volontà dei partecipanti si possa facilmente raggiungere grandi risultati.

Uno dei limiti più significativi a queste volontà, nell’attuale ecosistema tecnologico, sono i brevetti software: “È solo che il sistema brevettuale degli Stati Uniti è orribilmente bacato. Ed è inevitabile che le aziende tentino di aggirarlo”. La preparazione degli esaminatori dell’USPTO, la loro motivazione, viene messa in discussione da Torvalds: per ragioni di tempo e complessità vengono concessi brevetti con definizioni troppo ampie e generiche di tecnologia protetta. A quel punto una vera e propria “guerra fredda dei brevetti” è inevitabile: grandi aziende, enormi interessi commerciali, accordi di licenza incrociati, cause brevettuali. Un sistema bacato difficile da sanare, a causa del coinvolgimento della politica e delle lobby: “Non mi fraintendete. Ci sono molte persone oneste che provano a far valere i propri diritti, e non tutti i brevetti sono spazzatura. Ma l’incentivo sistemico è incontrollabile, sia sul versante della richiesta e ottenimento dei brevetti che sul piano delle lotte in tribunale”.

In ogni caso, Torvalds non aspira a un futuro dominato da ingegneri e tecnici: “Non credo che tutti dovrebbero necessariamente imparare a scrivere del codice. Credo sia un’attività specialistica, nessuno si aspetta veramente che tutti debbano praticarla: non è come imparare a leggere, scrivere e far di conto. Ciò detto – conclude – credo che tutti dovrebbero esservi esposti almeno un po’, per fargli capire cosa sia possibile farci. Ci sono molte persone lì fuori che potrebbero non sapere che dare ordini a un computer potrebbe piacergli, e quindi credo che classi di informatica nelle scuole siano una grande idea, anche se non credo nella teoria secondo cui tutti dovrebbero imparare a programmare”.

Fonte : http://punto-informatico.it/


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